L’impianto di San Bennato
Gli scavi archeologici presso San Bennato (Cavo), hanno permesso il recupero e la musealizzazione di alcune componenti tecnologiche fondamentali alla comprensione del ciclo produttivo della riduzione dell’ematite. L’impianto, utilizzato massivamente nel corso del II secolo a.C., doveva esser caratterizzato dalla presenza di forni a basso fuoco del tipo a camino, dotati di un’alta sovrastruttura in pietra rivestita internamente di argilla. Alla base erano presenti il canale per il deflusso delle scorie (scarti di produzione) allo stato fuso. L’areazione, necessaria per l’ottenimento della corretta temperatura di fusione, era forzata attraverso l’uso di tubuli in terracotta. Era necessaria la presenza di acqua: il minerale doveva infatti essere lavato all’interno di vasche per limitare al minimo la presenza di impurità. Questi impianti avevano un’attività frenetica e continua, in modo del tutto similare a quanto avveniva nella vicina spiaggia di Baratti (Piombino – Li), in cui continui accumuli di scorie venivano livellati per costruire sopra altri forni, una volta che i precedenti avevano. Sebbene i materiali provenienti da scavo non attestino una frequentazione dell’impianto di San Bennato precedente al II secolo a.C. (e quindi al controllo romano sull’isola), analisi di laboratorio sui resti dei forni sembrano indicare una prima installazione delle officine forse già a partire dal V secolo a.C., in età etrusco – classica.